venerdì 12 giugno 2009

La "Questione Morale"? Una Lezione di Onestà.


In questi venticinque anni che ci separano dalla scomparsa tragica di Enrico Berlinguer, tutto intorno a noi è diverso dal mondo in cui il più amato Segretario
del Pci visse la sua straordinaria stagione politica e umana.
E, tuttavia, tornare a riflettere sull’azione e sul pensiero di uno dei dirigenti che più ha segnato la storia della sinistra e della democrazia italiana è tanto più utile perché il nostro tempo ci consegna temi su cui Berlinguer ebbe intuizioni preziose e precoci.
Quando il Segretario del Pci parlò di «austerità», nel nostro linguaggio non c’era ancora un’altra parola con la a accentata «sostenibilità» che è divenuta oggi di uso quotidiano.
Era la metà degli anni 70, il tempo della prima grande crisi petrolifera, che spingeva i paesi produttori di petrolio a rivendicare un cambiamento delle ragioni di scambio e dei rapporti di mercato e di investimento con i paesi industrializzati e consumatori.
I più guardarono in quel momento all’austerità berlingueriana con diffidenza,
quasi fosse una forma di rifiuto della modernità. In realtà Berlinguer
capì molto prima di altri che una concezione dello sviluppo come sola e ininterrotta produzione di beni e di merci è destinata a scontrarsi con i limiti invalicabili della natura e del destino umano.
E che fondare lo sviluppo su basi sostenibili-demografiche, ambientali e sociali è condizione perché la crescita sia capace di produrre benefici di cui possa godere una vasta umanità e senza pregiudicare le opportunità e il destino delle generazioni future.
«Governo mondiale»
Fu altra espressione originale che Berlinguer coniò, volendo sottolineare la consunzione del sistema bipolare e la necessità di un nuovo equilibrio politico del
pianeta, non più governabile soltanto sulla base dei rapporti di scontro o
competizione o confronto tra Urss e StatiUniti.Anche quell’espressione poteva
sembrare utopica, quando invece Berlinguer anticipava così un tema
che oggi la crisi della globalizzazione ci pone in modo stringente: la necessità
di una governance globale e di un multipolarismo responsabile a fronte
di un mondo sempre più unico e interdipendente,che non può essere retto
dalle sole sovranità nazionali e dalle loro mutue relazioni.
È ancora una delle affermazioni più note e forti di Berlinguer
la «democrazia come valore universale» che torna oggi di prepotente attualità.
Se ieri quell’affermazione aveva il significato forte e esplicito di contestare
il comunismo sovietico e il suo carattere oppressivo, oggi la «questione democratica
» torna di straordinaria attualità, in una società in cui i poteri delle nazioni si svuotano, i cittadini sentono più incerti i loro diritti, la politica e
le istituzioni appaiono deboli e inadeguate e, anzi, crescente è lo spostamento
di poteri, decisioni, risorse da istituzioni legittimate dai cittadini «democratiche» ,appunto, a luoghi e sedi extraistituzionali e si affermano
concezioni populistiche e plebiscitarie della politica e delle leadership.
E, infine, come non vedere la straordinaria attualità di una concezione
della politica non scissa da principi etici e regole morali.
Per aver evocato la «questione morale» Berlinguer fu spesso accusato di settarismo
e moralismo. In realtà in quella espressione c’era non soltanto la consapevolezza del degrado a cui il tessuto politico e istituzionale era pericolosamente esposto,ma soprattutto la ferma convinzione che la credibilità della politica e di chi la rappresenta consiste nella trasparenza, nella onestà, nel rispetto dell’autonomia
delle istituzioni, nell’osservanza delle leggi enell’adozione di comportamenti
che non violino essenziali principi etici e morali in cui i cittadini si riconoscono. Valori e concetti di cui possiamo ben apprezzare la necessità
in un tempo in cui la politica italiana ci consegna ogni giorno immagini
assai deprimenti.
Riflettere su Berlinguer, dunque, non per un’antistorica nostalgia, ma per avvalersi delle sue intuizioni e delle sue riflessioni in un tempo presente che, ancora una volta, chiede alla sinistra e ai riformisti di non aver timore, come non lo è per Berlinguer, di percorrere cammini inesplorati e di navigare in mare aperto

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